mercoledì 18 luglio 2007

Lo scalone

Lavorare fino ai 65 / 70 anni? Magari! Per tre motivi fondamentali:
1) siamo ancora vivi
2) siamo ancora utili
3) ABBIAMO UN LAVORO!

C'è una mina vagante nella logica puramente "ragionieristica" dell' "allungo la vita, allungo il lavoro": in questo mondo di precariato imperante, dove nulla è certo e dove bisogna far largo a giovani emergenti, rampanti e sgomitanti, che ne è del 50enne che perde il lavoro, centrifugato da una società che ritiene l'esperienza un optional, se non una zavorra? Chi lo riassume più, dove trova un altro lavoro? Basta guardare le ricerche di personale: cercasi massimo 35enne.
E così, si profila una classe di nuovi poveri e incazzati: coloro che, dopo 30 anni di lavoro, devono stare 15 / 20 anni in attesa di una pensione da fame, inventandosi metodi estemporanei di sopravvivenza. Con l'aggravante di un sistema che finge di chiedere nuove e diverse competenze e professionalità e non intende assolutamente investire su chi non ha carne giovane e mente fresca. Finge, perchè in pratica vuol solo risparmiare sul costo del lavoro.
Oggi, i giovani precari contano (se, quando e fin che possono) sul sostegno della famiglia. Ma se anche i "vecchi" genitori diventano dei precari, padri e figli si litigheranno un contratto da fame. E il vincitore avrà a malapena di chè mantenere se stesso.
Dice: non è compito del sistema economico garantire il posto fisso; alle leggi dell'economia e del libero mercato non si possono imporre i legacci dell'assistenzialismo e dello statalismo, vera peste del terzo millennio. La sfida globale impone, come scrive (criticando) Zygmunt Baumann in Modernità Liquida, INSICUREZZA, INCERTEZZA, VULNERABILITA'.
Mi oppongo: mi sta bene il figlio precario, se io padre posso calmierare il disagio, compensare l'incertezza e consentire alle nuove generazioni il tempo di affermarsi autonomamente sul lavoro. E' una sconfitta, ma è pragmatica rispetto al danno peggiore del figlio disoccupato e senza futuro.
Ma non mi sta bene il figlio precario col padre disoccupato o, ben che vada, precario pure lui. Il gioco sta diventando troppo pesante, la sconfitta una disfatta.
Che cazzo di società è questa? Come è possibile che ci abbiano strizzato i cervelli fino al punto di sentirci in colpa se sognamo un mondo in cui il motore non sia la "soddisfazione degli azionisti" ma la serenità dei lavoratori, con, fra l'altro, una giusta pensione dopo anni di onesto lavoro?
Quanto sono voraci questi signori azionisti? Quando si estinguerà la loro fame?
Capisco lo stress della concorrenza, la necessità di essere sempre più leader per non morire, i Paesi emergenti, le nuove realtà affamate e quindi aggressive e competitive; situazioni che sembrano non dare scampo nè alternative: il benessere e lo stile di vita "occidentale" hanno le ore contate in Occidente e migreranno, col grande capitale ed i grandi investitori, verso altri lidi.
Giusto, anche i cinesi, gli indiani, i messicani e, chissà fra quanti lustri, gli africani hanno il nostro stesso diritto di sparanzarsi in poltrona a guardare calcio, veline e pacchi in TV, invece che morir di fame. Attenti però investitori nostrani: là troverete investitori altrettanto affamati, che non vi inviteranno a tavola.
Mi sento in colpa: reclamare il rispetto del contratto fatto tanti anni fa con l'Inps (tot anni, tot versamenti, tot di pensione dopo 35 anni) mi sembra a scapito della soppravvivenza dei poveri del Mondo. Un nostro privilegio futile, pagato da loro con i loro stenti. Un privilegio suicida che farà morire il nostro Paese; che nel frattempo sperpera in milioni di altri inutili rivoli e oceani.
Ridestati e torna in te: è il momento di dire basta. Cominciamo a riconoscere i privilegi e a far funzionare la vera meritocrazia: c'è un valore per ogni cosa e un giusto premio per ogni merito. La ricchezza spropositata oltrepassa ogni limite di giusto premio all'innegabile merito; la fame di denaro e la sete di potere non sono il motore dell'economia, sono il diavolo dell'individualismo sfrenato. E' giunto il momento di far guidare l'economia dalla morale e dall'etica.
I bisogni della gente, tutta la gente del mondo, oggi, contano molto di più delle strategie dei grandi capitalisti, destinate a sciogliersi in un attimo con la volatilità dei mercati.
Caro vecchio, bistrattato, anacronistico Carletto (Marx), come avevi ragione quando scrivevi, 150 anni fa, dell "esercito dei disoccupati, lavoratori di riserva al servizio del capitale", unica, vera, duratura strategia del capitale.

1 commento:

Con-tatto! ha detto...

Ho scritto sull'ultimo saggio di bauman, se t'interessa puoi leggerlo qui